I nostri morti. Ultimo viaggio a Poggioreale.
In questa uscita, tutta dedicata alla ricorrenza dei morti, un inedito reportage sul culto dei defunti a Napoli; un’intervista cyop&kaf e l’immancabile lista di Poster.
Reportage dal cimitero di Poggioreale - il più grande, il più importante della città - su un culto dei defunti che sta scomparendo. Sulla sua economia, il suo indotto attraverso le voci di chi vive questo “altro mondo” quotidianamente.
Testo di Enrico Nocera e Claudio Morelli
fotografie di Claudio Morelli
7 del mattino. I fiorai sono già disposti lungo il perimetro del cimitero di Poggioreale. Mancano pochi giorni alla celebrazione dei defunti e le attività sono frenetiche. A ogni varco d’ingresso c’è chi richiama a gran voce l’attenzione dei passanti per proporre crisantemi, margherite, viole, rose. I venditori si lanciano quasi sulla carreggiata per accalappiare per primi i potenziali clienti. Il periodo dell’anno, d’altra parte, è propizio per gli affari. «Siamo qui dalle 3 e mezza di stanotte» dice Massimo, uno dei più giovani del gruppo, 31 anni, barba ben curata e una tradizione familiare alle spalle. Due fasci di margherite costano meno di cinque euro e la spesa media si attesta tra i 5 e i 10 euro. «C’è anche, però, chi arriva a spendere 70–80 euro in un giorno, non solo in quello dei morti». Solitamente sono i clienti più affezionati, quelli che vengono qui almeno una volta a settimana per ripulire le cappelle di famiglia.
Di cappelle private, nel cimitero di Poggioreale, ce ne sono migliaia. Impossibile contarle. Qualche curva dopo, lungo il perimetro carreggiabile, un’intera squadra di donne ripulisce una cappella familiare con la precisone ossessiva che si riserva solo ai migliori appartamenti. Ogni portafiori, ogni cornice, ogni orpello è lasciato sul pavimento antistante la cappella in modo da poter arrivare con gli stracci nell’ultimo angolo di polvere. L’odore di detersivo giunge al fondo del viale, evocando quella sensazione di fresco che solo chi conosce bene la vita dei “bassi” napoletani è in grado di riconoscere. Gli uomini aspettano sul ciglio del marciapiedi su sedioline di legno o sono impegnati in un andirivieni di faccende annesse e connesse alla manutenzione della cappella.
Dallo scalone che sovrasta l’ingresso al “padiglione nuovissimo” si scorge una cappella particolarmente curata. Un uomo ormai avanti con l’età è seduto su una sedia in legno pieghevole, proprio di fronte l’ingresso, osserva sua moglie tirare a lucido i marmi e le fotografie disposte su un piccolo altarino. La moglie di suo fratello è morta ad appena 37 anni, era l’inizio degli anni ’90. Da allora, questa famiglia torna al cimitero almeno una volta a settimana per accendere i lumini, lucidare le superfici, cambiare i fiori. Si chiamava Carmela la donna scomparsa così prematura. Sul muretto, suo marito, ormai 72 anni, osserva la foto riposta sulla lapide con rassegnazione. «Non mi sono più risposato» ci tiene a sottolineare, «ma d’altra parte questa tradizione si sta perdendo completamente». Quale? «Quella di venire al cimitero a salutare i morti. C’è gente che qui non viene mai, nemmeno il 2 novembre. Guardate qua» dice, indicando le cappelle intorno, «questi loculi sono abbandonati. Nessuno se ne prende cura. Alle nuove generazioni non interessa nulla di tutto questo. Infatti, io vi dico la verità: quando sarà il mio momento, ho chiesto di essere cremato. Tanto, pure se ho figli e nipoti, nessuno verrà qui a fare quello che facciamo noi oggi». Se non ci fosse la legge a impedire la vendita delle cappelle cimiteriali «te le butterebbero appresso». Vale a dire: «costerebbero pochissimo, proprio perché nessuno più ha interesse verso questo culto». Un paradosso se si pensa al valore rappresentato, un tempo, dal privilegio di avere una cappella privata a disposizione.
Il viale superiore è circondato dalle palazzine delle arciconfraternite. Strutture enormi di proprietà della curia - alte almeno cinque piani più l’ipogeo - che conservano le spoglie dei defunti. Una di queste ha, secondo uno dei custodi, oltre mille loculi per piano. Gennaro, nella vita, si occupa in realtà di tutt’altro: grafica e impaginazione editoriale. Uno che nasce nell’era del piombo, quando le pagine si componevano con la linotype. «Questo per me è un riempitivo» confessa senza troppi problemi, «il mio è un settore che ormai non garantisce chissà quali guadagni. E così eccomi qua. Sia chiaro, qui non percepisco alcuno stipendio, mi affido alla gentilezza di chi chiede una mano per cambiare l’acqua ai fiori o accendere un lumino». In una parola: le mance. «Che io non chiedo mai, per carità» ci tiene a precisare, «solo chi vuole me le offre».
Gennaro è un vero conoscitore “tecnico” delle sepolture: «qui dentro trovate tre tipologie: il nicchione, la nicchia e la tumulazione. Quest’ultima è quella dove viene inserita la bara intera, che bisogna star ben attenti a sigillare per bene, altrimenti il corpo del defunto, a contatto con l’aria, potrebbe letteralmente esplodere, scatenando una puzza che non vi dico; il nicchione, invece, è semplicemente una nicchia più grande, dove il corpo del defunto viene disposto dopo una sepoltura di almeno cinque anni. Nelle nicchie “normali”, infine, possiamo trovare anche le urne con i resti della cremazione». Parole che risuonano tra i corridoi dell’arciconfraternita mentre una signora, accompagnata dalla figlia, lascia un saluto alla sorella tumulata poco più in là: «io venivo qui almeno una volta a settimana. Qui c’è mia sorella, al piano di sotto ci sono i miei genitori. Adesso, però, non ce la faccio più a camminare, vengo sempre più raramente. Ma tanto, dopo di me, non ci verrà più nessuno». Le aspettative di Gennaro sono le stesse: «magari a voi, oggi, sembrerà che ci sia gente ma vi assicuro che qui anni fa non sareste riusciti a guardare il pavimento dalla gente che c’era. Ancora una ventina di anni e tutto questo non esisterà più».
Non la pensa proprio così Fabio Bellomunno, titolare dell’omonima impresa funebre, così conosciuta a Napoli da aver sostituito con il suo nome, il dire comune a indicare un’agenzia funeraria. «Chiamo Bellomunno» per dire «chiamo le pompe funebri». Secondo Fabio, tra vent’anni, invece, le persone riscopriranno il mondo del cimitero. «È vero che il culto dei morti si è affievolito sempre di più negli anni, ma le persone hanno in casa così tante urne funerarie con i resti delle cremazioni, che a un certo punto non saranno in grado di riconoscerle e nemmeno di sapere a chi appartengono le ceneri al loro interno; si renderanno conto che sarà meglio lasciarle al cimitero» Mentre ci porge le sue previsioni è impegnato a seguire un cliente che sta facendo posizionare le ceneri di un suo caro all’interno della nicchia familiare. «Ormai la cremazione ha preso totalmente piede, se non la sceglie il 70, sarà almeno il 60% dei clienti». Ai tempi di suo nonno, le visite ai defunti erano quotidiane. «Una volta c’erano intere famiglie che si recavano al cimitero ogni giorno, andavano lì a mangiare, con i bambini che le raggiungevano alla fine della scuola e giocavano a pallone tra le cappelle e i loculi». Oggi i corpi vengono lasciati nelle fosse per cinque anni prima di poter essere trasportati nelle nicchie e nelle varie cappelle (un tempo erano 20 mesi ndr) e anche questo ha cambiato le cose. «Era un mondo aperto alla città, c’erano persone che pulivano, che spolveravano, che cambiavano continuamente i fiori. In questi giorni si ricordano i defunti, c’è qualcuno, ma è inimmaginabile quante persone venivano qui prima, per loro era come una seconda casa. C’era così tanto movimento che i fiorai assaltavano le nostre auto adibite al trasporto dei fiori per rubarli e rivenderli sui loro banchi, li rigeneravano, li riempivano di lacca. Oggi non abbiamo più queste auto, le abbiamo vendute, perché tanto nessuno le chiede più, se qualcuno la vuole dobbiamo noleggiarla».
I quartieri di Capodichino e Poggioreale circondano il grande cimitero napoletano, che conserva una grande sezione monumentale, dedicata ai personaggi illustri. Nel 2022 alcuni crolli hanno interessato l’area, spalancando la facciata di una congrega e portando a vista i loculi, con le bare sospese nel vuoto. Il camposanto si arrampica al crinale della Stadera arriva fino alla cima della collina dell’aeroporto. Nonostante il boom delle cremazioni, il forno crematorio è stato inaugurato a Napoli solo nel 2019 e, continua Bellomunno «è il più caro della Campania». 700 euro è il prezzo per l’incenerimento di un parente defunto. In compenso la vista mozzafiato si perde dal Vesuvio a Capri, passando per il Centro Direzionale e arrivando alla collina del Vomero. «Quando ci si rivolge a un’agenzia funebre, la prima cosa che consiglio di fare è parlare di soldi. È la prima cosa che faccio, essere chiaro con la famiglia, per non incorrere in problemi futuri». La famiglia, i conoscenti, i vicini di casa: nella mancanza di lucidità, che è peculiare in quei momenti, i parenti delle persone decedute si affidano a chi è loro più vicino. «In casa c’è sempre chi sa cosa deve fare» continua Bellomunno. «Sempre meno persone si guardano intorno in quei momenti. Una volta si usavano le Pagine Gialle, ora c’è Google, ma tutti preferiscono il passaparola». Pare strano a sentirsi, ai tempi dei servizi online, dei delivery, della sharing-economy. «C’è troppa scelta. Tutti fanno pubblicità, c’è confusione e non sai chi rivolgerti, cosa che può creare grossi problemi quando c’è da affrontare delle cose serie. Io entro in famiglia, ho un rapporto personale, mi chiamano per nome». E continua: «mio nonno camminava con un guinzaglio di cuoio, di quello per i cani, ma al posto del collare al fondo del laccio c’era un enorme mazzo di chiavi, erano tutte le chiavi del cimitero, delle congreghe, delle cappelle, perché doveva gestire manutenzioni e far portare fiori. Le famiglie volevano che si adornassero le tombe in occasione dei compleanni degli onomastici dei defunti».
Un loculo di una congrega ha un diritto di ingresso che costa intorno ai 2500 (ma anche molto di più) e dura 99 anni. Negli spazi comunali le concessioni durano 40 anni e possono essere rinnovate una sola volta. «Oggi entrare nel cimitero di Poggioreale in una congrega costa 300 euro se il loculo ce l’hai già, poi 120 di tasse, e altri oneri; ogni anno c’è da pagare i diritti di manutenzione, di solito una 15ina di euro l’anno, ma talvolta è molto di più; l’illuminazione poi è una cosa a parte». Altrimenti restano gli spazi pubblici «ma a Poggioreale è un cimitero saturo, quindi molti fanno dispersione in mare delle ceneri o le portano a casa; altrimenti c’è da scegliere gli altri cimiteri della città». Di solito in un loculo entrano fino a quattro corpi e, chiaramente più urne. Sono in molti a non pagare gli oneri annuali nelle arciconfraternite, ma il conto si presenta quando è il momento di accogliere nei loculi nuovi ospiti, così i familiari devono accollarsi gli arretrati di nicchie la cui memoria spesso si perde negli anni. Nelle cappelle private, poi, per entrare in un loculo familiare bisogna assicurarsi di avere gli arretrati pagati di tutti i loculi presenti nella cappella.
Al giro di affari “diretto” si aggiunge l’indotto. Ernesto è un operaio nato e cresciuto tra queste strade che costeggiano la tangenziale: «Io lavoro dentro al cimitero» ci confessa «sfregando le mani nodose e piantandoti addosso i suoi occhi chiarissimi» sistemo le cappelle, rifaccio gli intonaci, le rimetto a nuovo. Sono parte di una famiglia numerosa, ho altri nove fratelli. Uno di questi è morto, altri hanno fatto altre scelte, altri ancora lavorano qui». Dello stesso indotto fa parte anche l’unico bar della zona alta del cimitero - dal lato di Capodichino - Il custode del caffè, un posto rimasto fermo nel tempo e ha cambiato varie gestioni, ma Luigi, impegnato a gestire il bancone è lì da tre generazioni di proprietari. «Sto qui da quando ero un ragazzino, da più di trent’anni. Di gente ne ho vista passare, poi ci sono i visitatori fissi: c’è il signor Gennaro che viene qui tutti i giorni, prende due caffè da asporto in una bottiglietta di vetro e va a trovare suo figlio al cimitero». Sulla soglia del bar un uomo anziano che deve tornare a casa dopo una visita ai cari defunti, chiede di essere aiutato a inserire sullo smartphone a caratteri grandi il numero della fermata dell’autobusper controllare l’orario dei mezzi. L’App del servizio di trasporto pubblico risponde: «nessuna previsione». Nel frattempo il rombo delle turbine di un aereo risuona nell’area tutta intorno. Il viaggio a Poggioreale è davvero senza ritorno.
Enrico Nocera Giornalista, autore televisivo, videomaker. Racconta storie per chi ha pazienza di ascoltarle, guardarle e soprattutto leggerle. Ha lavorato per network nazionali e internazionali, cercando sempre di non nascondere il suo punto di vista sulle cose. Nel tempo libero fa il sommelier.
Claudio Morelli è un giornalista, fotoreporter e documentarista. Ha prodotto reportage per i più importanti gruppi editoriali italiani ed esteri. Da alcuni anni lavora come consulente alla direzione editoriale, soprattutto in ambito di new-media. Insegna all’Istituto Europeo di Design ed è tra i fondatori di Poster.
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Il morto napoletano è un morto speciale. Dall’anonimato mortuario alla ricchezza di un soprannome - intervista a cyop&kaf.
di Lucio Carbonelli
Da qualche anno ormai è uscito il libro Detti - Viaggio tra i soprannomi del popolo napoletano a cura di cyop&kaf ed edito da Monitor, viaggio alquanto peculiare visto che si svolge nell’oltretomba: il morto viene appunto rievocato attraverso il proprio soprannome che ne racconta un po’ la vita, soprannome che sui manifesti funebri del napoletano viene sempre preceduto dalla parola “detto/a” posta subito sotto il nome.
Come nasce questa passione di raccogliere e quindi perpetuare per sempre questi manifesti attraverso la fotografia?
Abbiamo fotografato per anni i manifesti funebri con i soprannomi, senza nessuna intenzione precisa, semplicemente perché ci sembrava che dietro ciascuno di essi si celasse una storia di vita tutta da scoprire. La storia di Rosetta, animatrice di Radio Quartieri Sound, è solo un esempio, ma la dice lunga sul potenziale narrativo sepolto (alla lettera) dietro queste affissioni cartacee così effimere.
I manifesti sono raccolti per categorie sociali, lavorative, eccetera, insomma è come se si volesse ricordare il morto proprio attraverso un suo tratto specifico e positivo (o non sempre?), per non dimenticarlo e non confonderlo con altri morti (magari omonimi). Perché secondo voi il popolo napoletano sente questa esigenza?
È molto semplice, spesso le persone del quartiere non conoscono nemmeno nome e cognome reale dei defunti, aggiungere il soprannome quindi diventa necessario se si vuole parlare alla propria comunità di riferimento. Il libro è diviso per capitoli (mestieri, corpi, anime, passioni, latitudini, appartenenze, misteri, scambi, minimi) e stampato in rigoroso bianco e nero. La grafica è ridotta all'osso, la breve introduzione è più poetica che sociologica. Tutto è stato pensato per ridurre al minimo il rischio che questa indagine antropologica sotto forma di libro fotografico fosse scambiata per qualcosa con cui farsi una risata e basta.
“Tra le pieghe pregne di colla fresca degli annunci mortuari nei quartieri popolari di Napoli, si nascondono – a volerle vedere – un’infinità di storie di vita. Ricordandosi agli altri col proprio soprannome, i defunti di questo libro provano a risalire faticosamente le fosse comuni dell’anonimato”, così si presenta il vostro libro. Leggendo questi soprannomi, vi siete mai immaginati una storia che vi è rimasta particolarmente impressa?
Potremmo parlare per ore di ogni singolo soprannome, farci le più imprevedibili congetture. Per noi, a dispetto delle più eloquenti apparenze, questo resta un libro sulla vita. Avremmo potuto fotografare i soprannomi al led che illuminano gli abitacoli dei camionisti, o quelli dei chioschetti dei panini, ma sarebbe stato molto più complicato e il campionario si sarebbe drasticamente ridotto. In fin dei conti abbiamo scelto di fotografare l'annuncio della morte per raccontare quanta più vita possibile.
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Lo scorso sabato abbiamo pubblicato la prima newsletter - manifesto di Fare cura, una nuova rubrica, con cadenza bisettimanale, dedicata al desiderio di essere presenti nel nostro tempo, mettendo nei nostri corpi ciò che pensiamo, speriamo e in cui crediamo. Un progetto a cura di Valentina Barletta, medico fisiatra, agopuntrice, operatrice shiatsu.
Invece nell’ultima newsletter di questa sezione napoletana puoi leggere I graffiti digitali di Franz Cerami a Bagnoli.
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La lista di Poster - dal 31 Ottobre al 7 Novembre.
In breve. Cosa è successo, sta succedendo o succederà in città. Se hai delle segnalazioni, sei un ufficio stampa o un nostro lettore scrivi a info@reversocollettivo.com
Da mercoledì 30 Ottobre a domenica 3 Novembre torna a Napoli, per la III edizione, Uànema: Festa degli altri vivi. Una rassegna culturale per riflettere sulla morte e ciò che c’è al di là. Previste le aperture gratuite e straordinarie degli ipogei cittadini, oltre che concerti, reading, spettacoli teatrali e maratone cinematografiche.
Mercoledì 30 Ottobre dalle 15, presso il Riot Studio (Palazzo Marigliano), incontro con Susanne Schussler, direttrice delle edizioni Wagenbach di Berlino, la casa editrice indipendente per lettori selvaggi.
Inaugurato il 28 Ottobre 2024 Il Museo delle illusioni a via Duomo presso la Chiesa delle Crocelle
Il concerto di Mahmood al Palapartenope, il 31 Ottobre 2024, è sold out.
Party di Halloween Santuario x Club Venus 31 Ottobre, a mezzanotte alla Discoteca Hype. Prenotazioni nei DM di Instagram del Club Venus.
Be basic la serata di cui pensavi di non aver bisogno, con il dj set di System Olympia al Basic club Napoli, Sabato 2 Novembre.
Per festeggiare fragorosamente e più che rumorosamente tutti i santi, basta spostarsi un po’ a Caserta, dove questo venerdì 1 Novembre suoneranno i maestri del noise italiano, i siciliani Uzeda, a cura de l’Associazione Il Gufo.
Sempre a proposito di Sicilia, fino al 10 novembre c’è la pluripremiata Emma Dante che ci racconta un surreale cunto, di Giambattista Basile al Teatro San Ferdinando.
Ancora teatro con il Frankenstein raccontato da Paolo Cresta presso Il pozzo e il Pendolo di Piazza San Domenico Maggiore, 2 e 3 Novembre.
Sentite di avere doti attoriali? Rispondete alla call per The Second Woman e prendetevi i vostri 15 minuti di celebrità.
L’Halloween party più gotico che c’è quest’anno è sul Vesuvio a cura di Subculture con musica live e dj set, ma anche festeggiare in un monastero sconsacrato in provincia di Salerno non deve essere così malvagio.
Se si vuole restare a Napoli centro c’è il Circo Mundano dalle 20:00 alla Fondazione FOQUS ai Quartieri Spagnoli, o il party Insomnia dalle 11:30 al Club21.
Se vi piace il punk, imperdibile la festa allo Scugnizzo Liberato, sempre giovedì 31 Ottobre, a cura di Controcanti.
Se più che mostri, vi sentite filosofi, c’è posto anche per voi a Napoli. Nel complesso di San Domenico Maggiore dalle ore 17:00 alle 22:00 ci sarà La notte dei filosofi.
Sabato 2 Novembre due serate tra cui scegliere: Floby e wendy in concerto, afro-beat dal Burkina Faso all’Asilo Filangieri di Napoli oppure sentire un pò di poesia metropolitana di Aldolà Chivalà al Punk Tank.
Alla Chiesa di San Severo al Pendino, via Duomo 286, il 31 Ottobre dalle 17:00 si inaugura la mostra “GIATA TAM VIVIS - ero così felice di essere in vita” di Roberto Pugliese. Un progetto di Quartiere Latino APS, curato da Marta Ferrara, con i due artisti napoletani Lucas Memmola e Roberto Pugliese.
Dal 30 Ottobre al 4 Dicembre 2024, per anticipare il Santa Feira Fest, saranno proiettati dei film nella Sala Cinema dell’Asilo Filangieri. Scopri qui tutta la programmazione.
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Questa uscita è coordinata dalla direzione editoriale di Claudio Morelli
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