Gli ultimi contadini di Napoli
In questa uscita c'è una dedica agli ultimi contadini di Napoli; abbiamo, inoltre, incontrato System Olympia. Non può mancare la lista di Poster.
Parliamo con Mario, uno degli ultimi contadini di Napoli e della sua terra all’eremo dei Camaldoli - Nella frenesia di una città moderna e in drastica trasformazione “Ritrovare chi voglia dedicare alla terra tutta una vita non sembra impresa facile”
Testo di Enrico Nocera
fotografie di Claudio Morelli
Nel silenzio dell’eremo, Napoli non sembra tale. L’oleografia del caos vociante si spegne in uno sguardo che abbraccia tutto il golfo, dal Vesuvio fino alle coste pontine e al Circeo. Siamo, letteralmente, sulla cima della città. L’eremo dei Camaldoli fu costruito sul finire del ‘500 su commissione dei monaci benedettini camaldolesi, che qui sono rimasti fino a una trentina d’anni fa. Tra le antiche celle, oggi reinventate come camere per ospiti esterni, la chiesa col campanile in pietra gialla e il convento, troviamo una piccola distesa di vigne. E poi alberi da frutto; un orto dove le ultime melanzane resistono grazie a un autunno dai connotati primaverili; un albero di pompelmi giganteschi «che mi sono divertito a innestare con le arance».
A parlare è un signore di ottant’anni. Cappello ben calcato in testa, baffi curati, un maglione a coprire la camicia nonostante una calda giornata di inizio novembre. Mario Totaro è un contadino: un uomo che ha dedicato alla terra tutta la sua vita, nonostante un passato da impiegato nel settore della vigilanza. «Quello però era solo un modo per portare qualche soldo a casa e crescere i miei figli» spiega con un sorriso sempre presente sul volto, «la mia vita è qui, in mezzo alla terra. In questo posto che frequento da più di cinquant’anni». Parla a bassa voce, Mario. Forse abituato com’è al silenzio di questi viali alberati. Scandisce perfettamente ogni parola, pur evidenziando la sua cadenza da signore napoletano. Di quelli che ci immagineremmo di trovare in una pièce di Eduardo.
Mario è davvero uno degli ultimi contadini di Napoli. I Camaldoli, stretti tra il versante di Pianura e quella che una volta era la selva di Chiaiano (prima che l’urbanizzazione la divorasse), conservano ancora alcuni tratti della vocazione rurale della città. «Io sono qui da quando c’erano ancora i monaci camaldolesi» racconta, «arrivai negli anni ’60. Questo posto non era certo come lo vedete voi adesso: era tutto abbandonato. Sterpaglie e rovi in ogni angolo. Ci sono voluti tempo e fatica, ma alla fine sono riuscito a riportare in vita questi terreni. Ho sempre lavorato perché qui non mancasse mai niente. Oggi, al posto dei monaci, ci sono le suore Brigidine. Quello che coltivo qui lo consegno poi a loro, che possono così cucinare per loro stesse e per gli ospiti». Troppo piccola la produzione per poter pensare di vendere qualcosa all’esterno. Quel poco che rimane dal consumo interno, spiega Mario, viene inviato alla sede centrale delle Brigidine a Roma, in piazza Farnese, e nell’omologo convento dei Camaldoli ad Arezzo. Per il resto, siamo di fronte a un chiaro esempio di quello che oggi verrebbe definito “chilometro zero”.
Mario cammina tra una pianta di zucche («questa l’ha portata una delle suore dall’Indonesia») e il punto dove andranno sistemate le fave. Le scarpe affondano nel terreno mentre indica i seminativi: «Qui ci metto i piselli, lì vicino le fave e i broccoli di Natale. Le vigne, invece, sono tutte a Falanghina e Piedirosso, con una piccola percentuale di Montepulciano». È un terreno, questo, che sa essere generoso? «C’è da dire una cosa: questo è un terreno di seconda fascia. Per cui non ottengo mai quantitativi troppo elevati. Su una cosa però potete essere certi: la qualità di questi prodotti è sempre altissima. Coltivo certi pomodori, qui, che hanno un sapore incredibile. Non come certi pomodori sciacquarielli che oggi trovate al supermercato». Vale la pena, a questo punto, soffermarsi un attimo sulle “fasce” richiamate dal signor Mario. Categorie catastali, più che qualitative. Rilevate, peraltro, dall’agenzia delle entrate.
«I terreni di prima fascia sono quelli irrigui. Quelli dove è possibile prendere l’acqua dai pozzi, ad esempio. Questo dei Camaldoli è un terreno di seconda fascia perché, tecnicamente, è un seminativo. Gli unici pozzi, qui, sono quelli che raccolgono l’acqua piovana. Anche perché quanto dovremmo scavare? Siamo a più di 450 metri di altezza, prendere l’acqua direttamente dal terreno è improponibile». Uno spaccato chiaro e preciso di come la civiltà contadina, in questo lembo di Napoli, si sia sviluppata nonostante le difficoltà. Cui ora si aggiungono anche quelle climatiche: «L’annata, per le vigne, è stata buona. D’altra parte, la vigna non ha bisogno di troppa acqua, cresce bene su un suolo vulcanico come questo anche in presenza di un clima più secco. La mancanza di piogge, però, crea problemi a tutto il resto. La siccità di questi ultimi anni ha portato a una riduzione delle quantità, senza dubbio». Dai racconti di Mario si capisce bene come fare i contadini a Napoli, nel 2024, sia un lavoro duro e non sempre remunerativo. Senza contare il fatto che, ormai, quelle che fino a sessant’anni fa erano zone agricole, oggi sono aree intensamente urbanizzate. Basta pensare al Vomero o al Rione Alto, che da qui dista non più di due chilometri.
Riguardo quest’ultimo aspetto: secondo il più recente Censimento Generale dell’Agricoltura, promosso dalla Regione Campania e realizzato dall’Istat, nel 1970 la percentuale di superficie territoriale dedicata all’agricoltura era pari (in tutta la città metropolitana di Napoli, quindi provincia compresa) al 56,9 percento. Dopo quarant’anni, nel 2010, la percentuale è precipitata al 19,6 percento, con poche variazioni rispetto ai giorni nostri. Tradotto: nel giro di un quarantennio abbiamo perso più di 44mila ettari di terreno. Cui si aggiunge, nella sola città di Napoli, la perdita di 6.500 ettari di superficie boschiva: parliamo dell’89 percento del totale. In tal senso, il parco dei Camaldoli (ufficialmente: Parco Metropolitano delle Colline di Napoli) è un polmone verde in gran parte negato. I cancelli sono chiusi dal 2020: dalla pandemia in poi, i napoletani non possono di fatto godere del più grande spazio verde della città. Eppure, ciò che “salva” Napoli dall’essere una città totalmente inglobata dal cemento sono proprio le zone che dai Camaldoli arrivano fino ad Agnano e all’area flegrea. Sempre secondo l’Istat, è qui che si concentra la maggior parte del verde metropolitano, con circa 3mila ettari di terreno sottratti alla cementificazione. D’altro canto un dato, in particolare, evidenzia come Napoli sia in realtà sempre stata una città dalla vocazione rurale: il territorio cittadino è il secondo più coltivato a vigne in Europa, preceduto solo da Vienna. Come scrive la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) «i partenopei hanno circa 200 ettari con i vari appezzamenti che creano delle fratture di verde in vari quartieri cittadini, arrivando dalla collina fino alle scogliere di Posillipo». I contadini a Napoli, sempre più rari, sempre più soggetti a difficoltà sia economiche che climatiche, operano una forma di resistenza: al cemento, al consumo di suolo, alla perdita di una memoria storica che riduce la città a un’immensa distesa di pizze e “cuoppi” fritti. Oggi, a Napoli e provincia, secondo i dati elaborati dalla Camera di Commercio, gli impiegati nel settore agricolo sono il 5 percento del totale. A fronte del 30,7 percento nei servizi pubblici, del 18 percento nel manifatturiero e del 14 percento nel commercio, oltre che di un 9,5 percento nell’edilizia. Le aree verdi, in definitiva, non mancano: ma c’è sempre meno gente disposta a prendersene cura. Tuttavia, Napoli si arrampica lungo i crinali del tufo giallo e trae linfa, chissà ancora per quanto, da chi lavora questa terra d’origine vulcanica.
Le stesse persone che, come Mario, assumono anche i tratti di guardiani del territorio. Non è retorico osservare come questo signore dalla voce posata preservi questo fazzoletto di territorio e natura, ovviamente nei limiti delle sue forze. Il signor Mario ricorda, a tal proposito, l’ultimo incendio che la scorsa estate ha devastato il versante Ovest della collina: dalle pendici di Pianura fino alle cime dell’eremo, una lingua di fuoco ha devastato i boschi, mostrando ancora oggi i suoi effetti: «Questa è una quercia secolare. Sapete quanti anni ci vogliono perché un albero cresca così? Oggi è carbonizzata». Mario dice di aver notato l’incendio svilupparsi a valle verso le due e mezza del pomeriggio. «Solo alle 6 e un quarto circa ho visto il primo Canadair che andava a prendere l’acqua, nonostante io mi fossi attaccato al telefono già dal primo pomeriggio». Ne parla così, perdendo per la prima volta il sorriso. Rievocare quei giorni di caldo asfissiante, con le fiamme a due passi dal suo orto e dalle sue vigne, gli toglie per la prima volta quel buon umore che sembra accompagnarlo ogni secondo. Un legame che oggi sembra si stia esaurendo man mano che le generazioni passano: «Io ormai sono anziano e fatico a trovare persone giovani che vogliano davvero dedicarsi alla terra. Lavorare in estate con quaranta gradi non è facile, me ne rendo conto: ma sembra che la fatica la sentano più loro che io. Ci provo a farmi dare una mano, anche da ragazzi che hanno bisogno di qualche soldo in tasca. Ma è sempre più difficile: mi chiedono 70 euro al giorno ma vi assicuro che non resistono più di due ore».
Ritrovare chi voglia dedicare alla terra tutta una vita non sembra impresa facile: «Manca la volontà oltre alle competenze, questo lavoro non si improvvisa solo per mettersi qualcosa di soldi in tasca». La pietra gialla della chiesa progettata da Domenico Fontana riflette la morbida luce dei raggi solari novembrini. Mario cammina tra i viali salutando le suore che, di tanto in tanto, escono dal convento per dare un po’ d’acqua ai fiori o recarsi sull’altare della chiesa a pregare. Procede con passo lento: di chi non ha la frenesia di voler correre da un’altra parte della città. Fra le vigne e gli orti Mario trova ed esprime, da più di cinquant’anni, quell’anima contadina che Napoli, faticosamente, ancora cerca di conservare.
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A proposito di orti urbani e agricoltori in città segnaliamo questo documentario - segue qui un breve stralcio - Urbanorurale, regia di Raffaele Iardino e Diego D’Ambrosio, prodotto da Agritettura 2.0 e Unscoso. Un viaggio negli orti urbani di Napoli e provincia, sulle tracce di quella parte di città che non ha perso il rapporto con la terra, e che nella terra fonda il suo passato e futuro. Esperienze di orticultura amatoriale urbana nate dal basso che reinterpretano il concetto di città, ricostruendo un legame con la terra. Curare un orto in città diventa così il modo per curare se stessi, riscoprire le proprie radici, costruire relazioni, creare bellezza, fare comunità, talvolta combattere la criminalità. Si sottraggono in questo modo spazi verdi all'abbandono restituendo loro dignità e la naturale vocazione.
System Olympia. Odissea musicale ed erotica.
Abbiamo incontrato System Olympia prima della sua serata al Basic Club di Napoli dello scorso 2 novembre. Il suo ultimo lp, New Erotica Collection edito da Okay Nature Record, segue una serie di importanti collaborazioni e una già lunga carriera da producer, autrice, vocalist e dj. Ha pubblicato nel 2024 i singoli Shy Shy in collaborazione con P Nut, e Sanctified con Working Men’s Club. Al secolo Francesca Macrì, dopo gli studi in Lingue a Roma, si traferisce a Los Angeles e poi, nel 2007, a Londra. Il suo sound condensa soul elettronico, synthwave, lo-fi, slow funk, in un ritmo sensuale che ha il sapore di colonna sonora. Sta per lanciare un nuovo progetto artistico a sfondo erotico, Odessa Collection, su OnlyFans.
Le domande sono di Claudio Morelli
Le fotografie di Dual Room, scattate a Napoli.
Stasera torni a suonare a Napoli…
Torno al Basic Club dove ho già suonato in passato, lo trovo uno dei posti più belli dove suonare in Italia, hanno un sound system incredibile, una bellissima consolle e poi adoro Napoli e adoro suonare in Italia; la scorsa estate ho organizzato un tour tutto italiano.
Ma la tua base è Londra.
Londra è un luogo dove mi sento a casa, non mi stanca mai, anche il clima spesso aiuta a lavorare, è una città che può annientarti e allo stesso tempo stimolarti, dove c’è una conoscenza della musica molto diffusa tra il pubblico ampio, un po’ come in Italia c’è conoscenza del cibo. Questo vuol dire che le persone in Inghilterra possono essere più partecipative, o più snob. Negli ultimi anni ho dato vita a collaborazioni importanti, featuring e tanti remix, una cosa che amo moltissimo, adoro remixare i pezzi degli altri.
Il nome del tuo ultimo disco, New Erotica Collection, esprime bene il tuo messaggio.
Da quando ero piccola la sessualità per me è dirompente, è ovunque, prende il sopravvento. Quando suono, quando scrivo, vivo tutto in maniera sensuale, è un bisogno primario, mi piace esistere in uno spazio di sensualità.
È possibile esprimere liberamente questa sensualità nel nostro tempo?
Ti dico solo che nell’ultimo anno ho avuto moltissimi problemi con i social. Instagram ha bloccato l’immagine della copertina del mio disco, seppur rispettasse tutte le regole. È stato cancellato il mio canale Youtube e, nonostante abbia fatto ricorso, non c’è stato modo di recuperarlo. I social sono una versione patinata della nostra vita, rappresentano un modello che non mi affascina. Google e Meta decidono tutto, l’unica sopravvivenza per noi artisti è stare nella vita reale, stampare libri, dischi, magazine, cose che si possono toccare. Io sono nella materia, ho bisogno di toccare, l’arte deve essere un incontro tra immaginazione e materia.
Questo è l’emblema di una censura che prevarica il mondo dei social?
Per quanto riguarda i social mi sto trasferendo su X, che ha una policy che rispetto maggiormente. Credo molto nella libertà di espressione. Molti artisti hanno paura anche solo di esprimere la propria opinione. In Inghilterra siamo nel pieno della cosiddetta cultura woke, una cosa partita anche con uno spirito giusto e piena di ideali in cui credo, ma è diventata ormai una nuova inquisizione. Basta un tweet ritenuto sbagliato e non lavori più, e tutto questo avviene prima che tu possa scusarti: non esistono processi, vieni cancellato, siamo alla caccia alle streghe, è un’era digitale che ci sta portando indietro di 1000 anni.
Come pensi di fare allora?
Sto lanciando un nuovo progetto artistico con la collaborazione del mio partner Emmanuel Crivelli (in arte Dual Room, art director, autore delle foto in questo pezzo, ndr), Odessa Collection, su OnlyFans, dove non ho censure, posso esprimermi e monetizzare liberamente. Odessa è il nome di due città che si trovano in Texas e in Ucraina e allo stesso tempo rievoca l’Odissea: è un viaggio nella femminilità, nella bellezza, un ritorno a casa attraverso la libertà di espressione.
Cosa pubblicherete?
Contenuti artistici, video, set fotografici a contenuto erotico e sensuale. Collaboreremo con altri artisti, produrremo artiste che hanno il desiderio di sentirsi a casa. Credo che possa diventare un luogo di libertà dove le donne possano dare spazio alla loro sensualità e dove gli uomini sono rispettati nel loro desiderio.
Quando si parte?
Sto accumulando contenuti e questa è una cosa molto divertente. Lanceremo il canale l’anno prossimo, con una campagna mediatica. Chiaramente non userò Instagram ma solo OnlyFans e un account X privato.
La lista di Poster - dal 6 al 14 Novembre.
In breve. Cosa è successo, sta succedendo o succederà in città. Se hai delle segnalazioni, sei un ufficio stampa o un nostro lettore scrivi a info@reversocollettivo.com
Sulle ultime vicende a Napoli, si muore per una scarpa di Emanuele Bosso.
Mercoledì 6 novembre, ore 21:00 presso Sala Assoli, il talentuoso Alessandro “Asso” Stefana (chitarrista di Vinicio Capossela, tra le altre cose) presenterà il suo primo disco solista (produttrice esecutiva PJ Harvey).
Sempre mercoledì 6 alle ore 20:00, comincia la rassegna cinematografica Movie Soup a cura de La Cineteca di Babele, da Magazzini Fotografici, Via San Giovanni in Porta n°32.
Un party di celebrazione e ascolto alla Fonoteca (Vomero), giovedì 7 Novembre alle 19:00, per il nuovo album dei lussureggianti Fitness Forever, un’occasione speciale per stare insieme e bere bene. Amore e Salute per tutti!
Sempre giovedì 7 Novembre, dalle 18:00 presso il Teatro Mercadante, Eretika - Una giornata di eresie intorno a Giordano Bruno. Prenota qui il tuo ingresso gratuito allo spettacolo.
Un omaggio al compositore e videografo Phill Niblock, videoproiezione e performance all’interno del Museo Hermann Nitsch, giovedì 7 Novembre, dalle 19:30 in vico Lungo Pontecorvo 29D, Napoli.
Mostra di Sir William e Lady Hamilton fino al 2 Marzo 2025, Gallerie d’Italia in Via Toledo, 177.
Un viaggio letterario tra le librerie indipendenti del Mediterraneo, venerdì 8 Novembre, dalle 18:30 Etapas2Napoli presso la Libreria Tamu, via Santa Chiara 10.
Da Auditorium Novecento venerdì 8 Novembre, dalle 21:30 si potranno ascoltare le imperdibili armonie vocali delle Ra Di Spina. Questo evento fa parte del Main out Festival.
invece Sabato 9 Novembre, sempre all’Auditorium Novecento dalle 21:00, la musica improvvisazione contemporanea di musica del trio Lisk/Bellatalla/Gabola e le sperimentazioni audiovisive di Riojim.
Incontro su David Foster Wallace con lo scrittore Salvatore Toscano, Martedì 12 Novembre, ore 18:00alla libreria Wojtek di Pomigliano d’Arco, Piazza Giovanni Leone 13.
Musica fuori Napoli: l’eleganza pop di Laetitia Sadier ad Avellino il 7 Novembre dalle 21:00, le sofisticate composizioni di Eiko Ishibashi a Salerno 11 Novembre dalle 21:00, le sperimentazioni audiovisive del Fossick Project a Salerno il 12 Novembre ore 22:30.
Sesta edizione del South Market con workshop, market e mostre, presso il Chiostro Don Orione Cottolengo in via Donnalbina 14, domenica 10 Novembre, porte aperte dalle 11:00 alle 23:00, ingresso con ticket qui.
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