Chiese in transito. Don Malù, un ministero itinerante.
Don Malù è finito al centro di uno scandalo mediatico per aver partecipato alla parata del Pride. Dopo le tensioni il sacerdote è senza parrocchia, così da oltre due anni fa il prete itinerante.
Testo di Elisa Belotti
Fotografie di Patrick Tombola
La realtà della Chiesa cattolica è più complessa e frammentata di quanto si possa immaginare, soprattutto quando si parla di persone LGBTQ+. Il rapporto con la comunità queer è spesso contraddittorio, fatto di continui passi avanti e indietro, aperture e chiusure. Questo vale ancora di più quando parliamo di chi fa parte della vita consacrata. È il caso di don Marco Luca Bertani, per tutti don Malù. Dopo essere stato cinque anni in una parrocchia nel bergamasco, nel 2022 è finito al centro di uno scandalo mediatico per aver partecipato - per l’ennesima volta - alla parata del Pride, partecipazione che ha alimentato una serie di tensioni già presenti. Poco dopo Don Malù è stato rimosso dalla sua parrocchia; da oltre due anni e mezzo, si trova senza una casa, a svolgere un ministero itinerante tra Milano, Lodi, Cremona e Bologna. La sua vocazione, però, non si è fermata: anzi si è trasformata in un impegno dinamico, dove il dialogo sui diritti, sia dentro che fuori la Chiesa, gioca un ruolo centrale. Seguendolo nella sua giornata abbiamo potuto toccare con mano parte dell'esperienza dei preti LGBTQ+.
Nel piccolo appartamento di Milano dove ci aspetta don Malù - giacca a fiori, calzini colorati, occhiali tondi e niente clergyman - non ci sono i suoi effetti personali, è uno spazio che non riflette la sua variopinta personalità, un luogo che chiaramente non è casa sua.
È interessante iniziare capendo perché siamo qui, in una casa che non è tua. Perché non siamo in una parrocchia?
Fondamentalmente perché non ho un luogo fisico dove incontrare le persone che si rivolgono a me e svolgere il ministero dell’ascolto e dell’accoglienza che ho costruito in questi ultimi anni, mi ritrovo a vivere l’incontro nelle case delle persone che incontro, nei parchi, sui treni, sui mezzi pubblici, per strada, nei bar. Insomma incontro le persone nei luoghi della loro vita concreta e quotidiana. Ci si dà appuntamento, si beve un caffè, si sta insieme in un posto dove nel caso si può vivere anche il sacramento della riconciliazione. Tante persone chiedono di confessarsi non in chiesa, ma in mezzo alla natura, camminando.
Nell'immaginario comune il prete cattolico ha una parrocchia, vive la realtà dell'oratorio, celebra la messa sempre nella stessa Chiesa. Se tu non hai tutto ciò, come vivi il tuo ministero? Che cosa fa un prete come te?
Partiamo dal fatto che io sono stato in parrocchia. Ho trascorso cinque anni nella periferia di Bergamo e sono stati anni molto belli, vivi, di grande crescita personale e per la comunità che ho servito. A un certo punto sono fatte le valutazioni del caso e mi è stato chiesto di prendere un'altra strada. Quindi in questo momento mi trovo a dover reinventare il ministero, in una sorta di limbo frutto della fatica che la Chiesa vive nel non riuscire a trovare un posto per una persona come me: un prete queer, omosessuale, esposto ed attivista.
I preti omo-bisessuali non sono affatto pochi se osserviamo i dati. Secondo lo studio Roman Catholic gay priests del 2023, il 67.3% dei sacerdoti intervistati risultava essere gay, il 5.8% bisessuale e solo il 26.9% si dichiarava eterosessuale.
Esatto, i numeri sono alti. Io ho fatto la scelta di espormi. Questo non vuol dire che lo debbano fare tutti. Pur avendo un ruolo pubblico rimaniamo persone private e lo stile voyeurismo della società che pensa di avere il diritto di sbirciare nell'intimità del preti non lo condivido e lo ritengo alquanto malsano. Il mio cammino di esposizione è iniziato in seminario e pian piano è cresciuto col tempo, con il mio cammino di maturazione, con l'acquisizione di maggiore consapevolezza e soprattutto con un vissuto concreto, teologico, antropologico e psicologico maggiormente incarnato. Da qui il rendere "normale" e rendere visibile ciò che tanti, comprese le norme della chiesa, ritengono anormale, scandaloso ed inaccettabile: l'esistenza di preti serenamente queer. Sorrido al pensiero che se realmente dovessero applicare la regola che esclude i ragazzi omo-bisessuali dal presbiterato, i seminari sarebbero praticamente vuoti. E di sacerdoti ce ne sarebbero gran pochi.
Non si conoscono molti preti queer. Da un lato quindi una persona queer che sente la propria vocazione fatica a pensarsi nella vita consacrata. Dall'altro c'è invece una vera e propria regola in merito. L’Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica del 2005 impedisce l’ammissione al seminario e all’Ordine delle persone LGBTQ+. Ti è mai capitato che ti venisse messo davanti questo documento?
Secondo me è una questione più sottile di un documento scritto. Anche perché basta guardare la scissione tra prassi e regola. Vige ancora all'interno dei seminari un sottobosco di terrore. A questo si affianca un altro fenomeno che in alcune zone d’Italia è ben diffuso: rifugiarsi in seminario e poi nella vita sacerdotale per non fare coming-out. Si cerca riparo in un'istituzione strutturata che garantisce anche una certa protezione sociale. Il documento vaticano che mi hai citato è una delle questioni, unita tra l'altro ad una assenza di formazione dei formatori, che portano in molti casi al nascondimento e alla negazione della propria essenza. Nel momento in cui ti esponi, rischi di mettere nelle mani dei tuoi superiori un insieme di armi che metterti alla porta del seminario o costretto a percorsi di terapie di conversione. Conosco tante persone che sono state dimesse proprio per questo.
Ci spostiamo in un parco pubblico. Tra il vociare dei bambini, gli adolescenti che fumano sulle panchine, chi porta a spasso il cane e chi fa jogging, don Malù continua a raccontarci com’è essere un prete omosessuale nella Chiesa di oggi.
Come vedi il tuo fare il prete, con questo ministero fluido?
Il mio ministero è un ministero di strada. Da un lato è anche una fortuna, questa fluidità mi permette davvero di essere molto più vicino alle persone. Dall'altro ha un prezzo che non è poi così basso. Mi mancano quelle cose più esistenziali come una casa mia, dove condividere la quotidianità con altre persone, tenere i vestiti, vivere quella normalità che è garantita a ciascun prete ma in questo momento non a me. Oltre all'investimento economico (per spostarmi, chiedere ospitalità in luoghi che comunque richiedono un contributo, etc.) parte del prezzo da pagare è anche lo stigma che sia a livello sociale e, a cascata, a livello ecclesiale che la mia essenza si porta dietro.
Una parte importante del tuo ministero è l'accompagnamento spirituale. Chi sono le persone che si rivolgono a te? Ci sono delle fatiche comuni?
Più che accompagnamento spirituale, mi piace definirlo un camminare insieme. Non è paternità spirituale, perciò quello che faccio è stare vicino alle persone, ascoltarle, dialogare. Mi piace molto questa immagine: camminare fianco a fianco. Io non sono davanti a nessuno e non rimango dietro a nessuno. Si cammina fianco a fianco, ci si prende per mano. Il mio ministero spazia davvero in tantissimi ambiti, a partire dal mondo LGBTQIA+ che è una grande fetta del mio servizio, anche legato alla mia esposizione e all'attivismo che porto avanti, ma non solo.
C'è la persona giovane che arriva dalla parrocchia e che ha paura a tirare fuori alcune questioni pulsanti della sua affettività e sessualità, la madre o il padre che hanno il figlio che fa coming out, genitori che lavorano a un'accettazione di figlie e figli transgender. E poi ancora la madre e il padre che vivono il dramma di avere figli o figlie suicide. O sacerdoti, preti, religiosi e religiose che sentono pulsare una dimensione affettivo sessuale e che si fanno domande profonde. Non sentono come integrabile anche questa loro dimensione e chiedono a me - che cerco di viverla in modo integrato - di camminare insieme. Ho accolto anche persone che hanno vissuto il mobbing sul lavoro, a casa, ma anche persone che semplicemente mi vedono open minded ed eccentrico e si interrogano.
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La tua immagine pubblica è fortemente legata al coming out. L’hai fatto per la prima volta quando eri in seminario, giusto? Com’è andata?
Il mio coming out ufficiale è stato sì in seminario, però ho sempre avuto una certa consapevolezza in merito. Sono sempre stato contentissimo e fierissimo del mio essere. Prima utilizzavo di più il termine gay, oggi dico anche queer. Il grande problema è stato il confronto con la società, anche all'interno del seminario, dove sono entrato molto presto, alle medie. Ho trovato un contesto in cui l'omofobia si respirava parecchio: nelle prese in giro, nelle violenze.
Questo avviene anche negli ambienti queer. Tante volte mi si chiede: «Perché vai al Pride?». Io ho iniziato ad andarci per me stesso, per portarci tutto quello che sono. Allo stesso tempo partecipo per portare tutte quelle persone che non possono esserci e come forma di attivismo interna alla comunità LGBTQIA+. Tante volte la resistenza e la violenza è proprio dentro la comunità. Ci sono anche lì omofobia, misoginia, razzializzazione, esclusione. Ai Pride ho trovato anche opposizione, giudizio, violenza verbale, esclusione. «Perché vieni qui se sei un prete? Vattene via, prete pedofilo». Partecipo al Pride anche per portare la minoranza che rappresento e che non sempre è accolta, tutelata e valorizzata al suo interno.
Come si relaziona la Chiesa con le persone LGBTQ+?
La modalità spesso è quella della superiorità. Nelle sue posizioni ufficiali la Chiesa sembra dirti: «Poveretto sei omosessuale, bisessuale, lesbica, transgender, ti vogliamo bene, ma…» Tutto questo detto con uno sguardo dall'alto verso il basso, in una parità di incontro e sempre chiedendo di adeguarsi all’istituzione. Quindi richiedendo anche l’astensione totale, il congelamento della propria identità, sessualità e affettività ritenute problematiche. Questo approccio è la vera dimensione contro natura. Non si parla solo del fare l'amore o avere un rapporto sessuale, ma di una visione paurosa di base che si ha nei confronti della sessualità. Direi un approccio poco integrato e poco integrante.
Accanto a questa visione sessuofobica, nella Chiesa si pensa alla "tendenza omosessuale" come incontrollabile. Quindi da un lato tu omosessuale nella Chiesa la devi controllare se vuoi starci dentro e dall'altro i preti che praticano il celibato sono come dei guerrieri che hanno combattuto degli impulsi umani sempre sbagliati che portano alla perversione.
Anche sul ministero ordinato c'è una visione distorta. Si ha l'idea del prete come una figura asessuata, angelica. In realtà però non è che se uno è prete allora non vive la dimensione affettiva e sessuale. I preti sono esseri sessuati, con un proprio orientamento sessuale e romantico. In tutto questo si inserisce la legge del celibato. Bisogna stare attenti a non confondersi anche sulla terminologia. Il voto di castità è per i religiosi, quindi suore, monache e frati. Il prete diocesano fa la promessa di celibato. È una promessa alla Chiesa che poi è stata spiritualizzata, ma che sempre legge rimane. Ciò significa che può anche cambiare. Ed è la promessa di non sposarsi.
Allora vuol dire che un prete può fare sesso comunque senza sposarsi?
Non è così semplice. Per la Chiesa ufficiale a oggi l'unico rapporto sessuale previsto è all'interno del matrimonio e in un'azione di "apertura alla vita". Allora, a cascata, tutti quelli che non vivono una vita matrimoniale non dovrebbero avere rapporti sessuali, neanche il prete. Ed è una questione che non riguarda solo il clero omo-bisessuale, ma tutti. Forse più che puntare lo sguardo e le preoccupazioni sul tema dell'assistenza bisognerebbe investire su una formazione che generi persone mature e non il club dei castrati e delle castrate.
Infatti volevo chiederti: in seminario si parla di sessualità, di affettività? Come?
Naturalmente dipende dal seminario, ma c'è ancora tanto lavoro da fare. La questione in primis non è tanto che il prete viva attivamente o non attivamente la propria vita affettivo-sessuale. Io non mi scandalizzo per questo. Ho degli amici preti che vivono relazioni fisse o che hanno approcci saltuari. Mi preoccupa invece il fatto che un prete possa viverle in maniera immatura o predatoria, perché è da lì che si generano le dinamiche abusanti. E purtroppo c'è tanta immaturità che nasce anche da una formazione in seminario carente, finalizzata a creare tanti prototipi asessuati, anaffettivi.
Tra le mie amicizie e tra le persone che ascolto e accompagno ho incontrato tantissimi preti, religiosi, religiose che in maniera matura hanno costruito relazioni sane, belle, libere (etero o omo che siano), che li hanno resi e rese persone migliori. E allora mi chiedo: «ma stanno andando contro la Chiesa e contro Dio?». Per il pensiero sociale sì, per il pensiero ecclesiastico sì. Nella logica evangelica non lo so. Io ci vedo Dio anche lì. Conosco e sono amico di compagni o compagne di sacerdoti. Queste coppie, formate anche da preti e non preti, a volte hanno attorno persone che le accompagnano: amici che sanno di questa relazione, che la sostengono e ciò che mi ha scaldato il cuore è stato vedere quanto amore ci sia anche in queste coppie.
Nel 2021 è uscito uno studio del sociologo Marco Marzano, La casta dei casti, sul rapporto con il sesso nei seminari e tra i preti e si legge che paradossalmente è più tollerato che un prete viva delle relazioni con degli uomini rispetto a che viva delle relazioni con delle donne. Se però lo fa con discrezione, se non lo sa quasi nessuno e le persone coinvolte mantengono il segreto. Se invece è un prete esposto e dà fastidio, no, viene emarginato. Ti ci ritrovi?
È come se ti venisse detto: «vivi quello che vuoi sulla sessualità, ma nel nascondimento». Un po' come succede in tante famiglie, mettiamo tutto sotto il tappeto. Inoltre la relazione omosessuale per la Chiesa è più facile da gestire. Non c'è la paura che si generino figli e, per via del modo in cui si guarda al mondo LGBTQIA+, la si vede solo come corporea, animalesca quasi. Della serie: ti permetto di sfogare i tuoi istinti ma poi continua a “fare” il prete.
Ci spostiamo in via Lecco, quartiere LGBTQ+ di Milano. Con una birra in mano sotto l’insegna al neon "Transfeminist" si fa sera. I lampioni si accendono e il quartiere prende vita. Ci prepariamo a partecipare alla messa LGBT al Lazzaretto animata dal gruppo di credenti queer Giovani del Guado. L’antico lazzaretto di Milano - quello della peste dei Promessi sposi - accoglie oggi altri emarginati, le persone cristiane LGBTQ+.
Veniamo alla ragione per cui tu sei senza la parrocchia e hai dovuto reinventare il tuo ministero. Qual è?
Io penso che il problema sia quello che rappresento. Non c’è stato un vero e proprio punto di rottura. Semplicemente si è arrivati a un momento in cui non sapevano più gestire la mia immagine. Sono scomodo? Si lo sono. Per tanti motivi. Non in ultimo perché mostro la conciliabilità tra ministero ed essenza queer, tra l'essere persona gay e l'essere un buon prete.
Tanti pensano che sia stato allontanato dalla parrocchia quando, nel 2022, un gruppo di ultra intransigenti cattolici mi ha attaccato sui media per la mia partecipazione al Milano Pride, arrivando addirittura a sostenere che i miei occhiali tondi sembravano preservativi, simbolo della mia perversità. Tra l'altro avevo partecipato a parecchi Pride anche in precedenza, sempre rendendolo noto. Questo evento è stato esemplare ma c’era già la fatica di gestire la mia figura e di trovarmi un posto all'interno del sistema Chiesa.
E in tutto ciò che rapporto c’è con gli altri preti?
Molto vario. Ci sono preti che mi stimano ma che hanno paura di esprimere questa stima. Alcuni mi chiedono di coltivare un rapporto amicale nel nascondimento, perché essere amico di don Malù porta all'esposizione, alla paura di fare coming out o di essere considerato gay. D'altro canto c'è anche gente che non mi stima, dalla quale ho ricevuto violenze e ingiustizie. Ho incontrato parecchie resistenze e pregiudizi anche da parte anche di alcuni vescovi. Mi ritengono senza neanche conoscermi un mostro LGBTQ+. Si ha un po' paura della mia persona e quindi ho trovato opposizione e gesti meschini nei miei confronti. È capitato che non mi facessero concelebrare, che mi facessero stare nell'assemblea durante la messa. Naturalmente tutto in via ufficiosa per paura di doversi esporre. Però ho anche degli amici preti (anche etero) e dei bei rapporti.
Sento il sistema chiesa come madre? Non so se posso considerare madre un sistema che mi vede come un figlio non voluto, il figlio da tener nascosto, del quale vergognarsi. quello che simboleggia tutto ciò che "non si dovrebbe essere" e che non dovrebbe esistere, ma che c'è. Un figlio non voluto che forse sarebbe meglio abortire.
A quella parte dell'Italia che dice che nella Chiesa non c'è spazio per le persone LGBTQ+, cosa rispondi?
A chi vede il mondo LGBTQIA+ come inconciliabile col Vangelo, mi verrebbe da dire che forse dovremmo tornare al Vangelo, alla figura di Gesù Cristo. Quel Gesù Cristo che non ha mai condannato né giudicato nessuno. Il mondo LGBTQIA+ non è un qualcosa d'altro rispetto alla società e alla Chiesa, ma è parte integrante di esse.
Nella Chiesa, nel mondo e nel cuore di Dio c'è posto per tutti. Nessuno escluso. E se non crediamo in questo, non crediamo nel Dio di Gesù Cristo. Crediamo in un Dio a modo mio, un Dio che ci dà sicurezza, che ci fa sentire belli, buoni, a posto. Un Dio sterile di coloro che pensano di essere già arrivati. Forse abbiamo tutti un pochino bisogno di lasciare che Gesù Cristo butti in aria le nostre certezze per riportarci a quel cuore vitale e pulsante che genera una umanità che rimane umana. Dobbiamo tornare ad essere umani questo è fondamentale.
Un'ultima domanda, un po' provocatoria. Visto che sei una persona LGBTQ+, perché resti nella Chiesa cattolica, che ha discriminato per secoli tante categorie marginalizzate e continua ancora oggi, a maggior ragione facendo parte della componente istituzionale?
Questa provocazione viene fatta molto spesso alle persone LGBTQIA+ cristiane. Innanzitutto ognuno secondo me deve sentirsi libero di rimanere e fiorire dove vuole. C'è chi ha scelto di lasciare la Chiesa cattolica, chi è passato ad altre chiese, chi ha deciso di chiudere con la religione. Io ho scelto di rimanere come tante altre persone, per portare il mio contributo in una riforma che è in atto. Penso che in questo la mia figura sia ancora preziosa e sia prezioso quello che simboleggia.
Tanti mi dicono che sono un illuso. Forse è vero, ma forse rimanere un po' illusi e crederci è il modo per portare avanti la propria missione. Voglio fare parte di questo cambiamento, almeno fino a quando ne avrò l'energia, l'entusiasmo e fino a quando il Signore mi chiederà di fare la mia parte nell'ora, nell'oggi, in questa forma. Per il resto mi tengo aperto allo Spirito e alla vita.
Raggiungiamo la chiesa del Lazzaretto. Mentre il coro prova i canti per la celebrazione, in sacrestia don Malù si cambia. Indossa una casula bianca, una stola arcobaleno e sale sull’altare per concelebrare la messa. Un ulteriore frammento del suo ministero prima di prendere il treno e spostarsi ancora una volta in un’altra città.
Sia Patrick Tombola che Elisa Belotti sono su Instagram
La direzione editoriale è di Claudio Morelli
Grande Marco, con tutto l'affetto di una mamma. Spero che l'ipocrisia che tende sempre a salvare la facciata senza guardare le persone che ci stanno dietro posso prima o poi essere messa da parte
Don Malù è ancora incardinato nella diocesi di Brescia? Che indicazioni formali ha ricevuto dal suo vescovo?